Oscar Fonti
Oscar Fonti
Dipinti olio su carta
1969 / 1971
Oscar Fonti : dalla coerenza del simbolo agli idiomi mobili dell’ universo dell’Es.
L’iridescenza, ma anche la psicopatia d’un vortice colorato, più spesso sfumato e irrilevante, è la base degli anagrammi che Oscar Fonti dispone nella propria ricerca grafica e cromatica. Il primo richiamo potrebbe essere una condizione di progettualità e di spostamento della morfologia delle flessioni formali verso l’opera d’arte compiuta, ma in particolare il significante riavvia movimenti di atteggiamento lirico, a emulazione gestuale, molto fluido, di voluttà e natura libidica, situata nel grado narrante del concepimento piuttosto che su quello compositivo e statico per raggiungere non casuali ragioni fra discesa e ombra esplosa del senso. L’attimo dipinto rivela cospicui circuiti di velocità sognate, il varco destina il movimento nell’area di un vuoto disponibile ad accogliere l’essenza di un sogno, persino della creatività privata, e ricominciando a vivere nell’inorganico ed oltre l’opaco schema dell’ovvietà o i risucchi imprevisti di qualche divieto naturalistico. Il campo estetico ripete l’operazione nello spazio che gli è affidato, senza delirio singolare, né zona d’ombra per permettere riosservazioni divertite o esterne al principio del proprio sistema di esiti e di valenze ( a che distanza da Malevic’?). La dinamica insistita decisamente promuove una liricità mai declamativi o impalpabile, ma necessaria alla stessa animazione rispetto anche a quella derivazione, che non soltanto passa per la costellazione stile Pollok, ma riammette tanti esecutori d’opera che negli Anni Sessanta avevano istituito il confronto totale con tutta la pittura d’epoca che aveva abbandonato la lingua delle ringhiere e le definizioni grafiche di reale..............
La materia è segno fuso e connesso al valore della simulazione simbolica, il nitore ( la tersità ) riannunciata costantemente, dalle propaggini medesime del suo estro, la biologia di un evento guizzante, o prima ancora nucleo disfatto di qualcosa che emerge da solenne flutto, molto probabilmente per la contemplazione passiva e atarassia, su passaggio ardito e ricavabile dall’intensità, così come dalle evanescenze delle sue curve-guscio e dagli stati soffici di una parabola. La frequentazione stessa degli aloni percorre istanze ieratiche di poeticità, regge quelle epifanie che qui diventano maschere d’ un sogno o corazze estinte e sommerse per troppi secoli in un mare occulto
dell’oggettività, tanto da sembrare personaggi eccentrici, carcasse di figura, cifre di decorazione febbrile e leggera, alla fine della vita e dentro un’archeologica solitudine, mai tetra o soltanto di confine.
Una lettura che si riannoda alle possibilità dell’oggetto di diventare ritrovamento del magico: curvilineo, perlaceo, biomorfo, con incrostazioni labili che, per via del colore cangiante, parte da un vissuto che coinvolge, non soltanto la fenomenologia della percezione comune ma l’estremo retaggio del pensiero, capace di aiutare la fantasia a concepire la bellezza, secondo una sperimentabilità attuale e pluralistica, in cui ogni tipo di immagine, così conseguita, riesce a tenerci in vita, proprio perché non fa fatica a farci sognare e conferire all’artisticità di Oscar Fonti maggior credito e rarefatta misura di estasi a passaggi efficacemente ripetuti.
Così, i vortici o i cirri spettacolari, non sono soltanto allegorie emozionali, percettività mobile che attraversano il vuoto e il sopito “ en plein air” del deserto, ma una rifrangente e funzionale qualità dello spirito della vita, ritessuto irreale, e impadronitosi della vivacità di configurazione del simbolo ivi fiorito.
Uno spaccato fondamentale (e discreto) di ciò che è un tormento formale dunque, più bisbigliato che dipinto, più culla del presentimento del mistero che forma assoluta dell’espressione naturalistica, in un’inquietudine emozionale ed ebbra.
Domenico Cara